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Di ritorno dall’esperienza missionaria in Burundi, ho fatto posto in valigia anche per una stoffa ricamata a mano da alcune donne del posto che ci è stata regalata da Suor M. Celeste, superiora della comunità “Mater Misericordiae”, e dalle sue consorelle. Oltre alla bellezza dei ricami, mi ha colpito molto la scritta che occupa la posizione centrale nel rettangolo di stoffa: “Maison shalom”, casa di pace. E tra me e me mi sono subito detto che proprio questa poteva essere una efficace espressione di sintesi dell’esperienza che abbiamo vissuto a Bwoga Chioggia e, in particolare, dell’accoglienza che ci hanno riservato non solo le suore ma, più in generale, chiunque abbiamo incontrato durante i giorni della nostra permanenza in quella che mi sento di poter definire la terra benedetta del Burundi.
Ho respirato ovunque un profondo senso di pace e gioia vera proprio perché mi sono sempre sentito accolto, ospitato e, a dirla tutta, anche coccolato. Certo in Africa – e in Burundi, in particolare – non manca la povertà di tanti tipi, in primis quella materiale, ma di sicuro non si può dire che il popolo burundese non sia “ricco” nel vivere le relazioni appieno, anche con il diverso, anche con chi viene da lontano, anche con i muzungu – gli uomini bianchi.
La stessa “ricchezza” portatrice di pace l’ho trovata anche nei più piccoli, con i loro occhi pieni di gioia e di tanta voglia di vivere la vita bella che tutti loro meritano. Proprio con i bambini ho vissuto l’esperienza che mi ha provocato di più: partendo per il Burundi, infatti, ho dovuto lasciare l’animazione estiva della mia parrocchia di servizio ma, per quella che potrei definire una Dio-incidenza (una coincidenza voluta da Dio), mi sono ritrovato a vivere la stessa esperienza nel cortile della missione sulla collina di Bwoga. Qui, però, ho da subito notato come quei piccoli dagli occhi che ti incantano sapessero godere appieno anche del poco che gli veniva offerto quando noi, nelle nostre realtà, non sappiamo più cosa inventarci per attrarre e coinvolgere bambini, ragazzi e giovani. Allora mi chiedo: sono loro i poveri o siamo noi che stiamo vivendo in una povertà che ci toglie la pace e della quale fatichiamo ad accorgerci?
Lascio aperta per voi lettori, ma anche e soprattutto per me, questa provocazione che mi sono
portato a casa dalla terra del Burundi, quella terra benedetta che è casa di pace.

 

Daniele Mozzato
Seminarista

Dal 18 luglio al 3 agosto 2024, un gruppo della Diocesi di Chioggia ha vissuto un’esperienza missionaria presso la comunità “Mater Misericordiae” delle Serve di Maria Addolorata di Chioggia a Bwoga, in Burundi.
Il gruppo, formato da due sacerdoti, una religiosa, due seminaristi, due mamme e cinque giovani, si è preparato a questo momento con alcuni momenti formativi proposti nei mesi precedenti alla partenza e, nella celebrazione dell’11 giugno, solennità dei Santi Patroni, ha ricevuto la Croce e l’invio missionario da parte dal Vescovo di Chioggia, Mons. Giampaolo Dianin.

Al ritorno da questa esperienza, vogliamo condividere un breve racconto di quanto vissuto e alcune domande che sono sorte in noi e che rimangono come un pungolo per farci progredire nella riflessione del nostro essere cristiani.

Eccoci al viaggio
Oltre ventiquattro ore tra voli e attese negli aeroporti. Il vantaggio di essere in gruppo è stato sicuramente quello di poter condividere la fatica, le incertezze e i desideri che portavamo nel cuore.
Arrivati a Bujumbura (centro commerciale del Burundi), ad attenderci, in aeroporto, suor Celeste e suor Annonciate, che sono venute a prenderci per accompagnarci alla missione di Bwoga-Chioggia.
Saliti sui pulmini, abbiamo raggiunto la casa della comunità nella tarda serata. Lì le altre suore (burundesi e messicane) e le giovani in formazione ci hanno accolto con danze burundesi e con un rito di accoglienza messicano.
Già ci siamo sentiti a casa…

Il primo sacerdote della parrocchia
Subito il giorno seguente al nostro arrivo abbiamo avuto la possibilità di partecipare alla prima Messa del primo sacerdote della collina di Bwoga-Chioggia: don Arcade Niymungere.
La celebrazione è stata un momento molto intenso, della durata di circa tre ore. Una grande festa, con canti polifonici e danze locali, tanto da non accorgerci del passare del tempo. Erano presenti tutti i fedeli della collina, in chiesa abbiamo stimato forse più di mille persone, per lo più giovani, ragazzi e famiglie.

Durante la nostra permanenza
Le Messe al mattino presto: 6:15 in comunità dalle suore oppure 6:30 alla domenica, in parrocchia (quella che più prevedeva la presenza di bambini e famiglie). Celebrazioni vissute sempre con molta partecipazione e intensità di preghiera, canti, gesti… gioia. Il convento delle suore è adiacente alla chiesa, e subito dopo la Messa domenicale, i bambini e un bel gruppo di adulti si ritrova per la formazione. Nella parrocchia la presenza delle suore, oltre che a offrire un dispensario (possiamo considerarlo come una nostra clinica o un pronto soccorso, dove trovare medico di base, dentista, ecc.), si fa formazione per bambini e ragazzi ed è presente una scuola dell’infanzia.
Durante la nostra permanenza, ci siamo inseriti nei tempi di preghiera e di lavoro delle suore e cercavamo di servire là dove ci veniva chiesto.
Abbiamo avuto l’occasione anche di passeggiare lungo la collina e nei villaggi della parrocchia dove l’accoglienza della popolazione è stata commovente.

Altro lavoro
Nei lunedì, mercoledì e venerdì durante la mattina, i bambini della collina venivano accolti nella casa per l’esperienza del centro estivo. Anche noi eravamo lì a interagire con loro, come riuscivamo, ma i piccoli parlano al cuore e quindi tutto diventa semplice.
Nei pomeriggi, invece, e negli altri giorni, il gruppo si dedicava ai lavori utili alla missione, come semina del prato, sistemazione del legno, montaggio sedie e altri lavori di rifinitura nella nuova scuola. Anche l’arrivo del container dall’Italia ci ha impegnati per un intero pomeriggio fino a notte inoltrata per lo scarico e la raccolta del materiale: possiamo testimoniare che tutto arriva a destinazione e che richiede un grande lavoro.

Abbiamo avuto, poi, alcuni momenti molto importanti come la visita al villaggio dei Pigmei; questa è un’etnia minoritaria del Burundi e, per quanto ci hanno raccontato, la più emarginata. Il capo villaggio ha detto che era dal 1994 che non ricevevano una visita.
La loro accoglienza è stata gioiosa ma soprattutto grata. Le donne dell’etnia fabbricano vasi di argilla che non vendono ma che, quasi esclusivamente, barattano con il cibo. Questa notizia è una delle cose che mi hanno fatto molto riflettere: lavorare per il pane quotidiano e non per un accumulo senza senso. Siamo partiti per la visita con la consapevolezza che non avremmo dovuto fare foto, ma mentre ci facevano vedere il loro lavoro, il capo villaggio ci ha chiesto di scattarne affinché altri possano sapere di loro e del loro lavoro. L’estraneo, l’emarginato, ha bisogno dello sguardo di qualcuno che possa fargli capire il valore che ha. Forse vale anche per noi…

Visita agli ammalati
Assieme alle suore abbiamo fatto visita ad alcuni malati per portare loro un po’ di cibo e anche la comunione eucaristica.

I giovani
Un altro momento importante vissuto durante la nostra permanenza è stato l’incontro con i giovani della parrocchia, durante il quale i giovani di Bwoga e quelli della Diocesi di Chioggia si sono raccontati della propria cultura attraverso canti, balli e scenette. Anche l’incontro con i giovani del forum diocesano ci ha colpito molto perché la loro accoglienza è stata quasi imbarazzante, con calore ed entusiasmo, coinvolgendoci in danze e canti.

In questa esperienza missionaria mancavano sicuramente alcune comodità alle quali si è abituati, ad esempio la connessione stabile alla rete Internet, l’uso continuo di acqua e corrente elettrica, ma alla fine nulla ci è mancato perché abbiamo scoperto la ricchezza dai rapporti personali, dagli incontri veri. Anche i momenti in cui ci siamo dati del tempo per l’ascolto tra di noi e con le sorelle che ci hanno ospitato, sono stati intensi e pieni di storie personali e ricchi di fede.

Un vivo grazie a tutti coloro che ci hanno accompagnato, sia con l’aiuto economico sia con la preghiera, perché abbiamo sempre sentito la vicinanza dei tanti che hanno pregato per noi.

 

Suor M. Ada Nelly Velazquez Escobar
Direttrice del Centro Missionario Diocesano

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Tu sei bellezza

CV24 Copertina Articolo 'Tu sei bellezza'

Qual è il sogno che Dio ha per me? Per me, sì, proprio per me… E, ancora prima, perché Dio dovrebbe sognare di me, della mia esistenza, della mia vita? Sono davvero meritevole del suo sguardo, della sua “attenzione”? Una domanda, la prima, che si è inserita con forza nelle fasi iniziali del campo vocazionale. Sebbene non si tratti di una domanda “nuova” per la … Continua a leggere Tu sei bellezza »

Ingata

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“Signore, cosa mi vuoi dire attraverso questa esperienza?” La domanda che ci era stata posta dal Vescovo Giampaolo prima della partenza è una domanda che apre il cuore e la mente a ciò che si è vissuto. Una richiesta che, in questo caso, non può che implicare sé stessi nella propria interezza, nella propria complessa totalità. È una sensazione del tutto simile a quella del … Continua a leggere Ingata »

A poche ore dalla partenza del Papa da Venezia cerco di raccogliere la ricchezza di una visita tanto breve quanto intensa e carica di messaggi che sono una consegna non solo per Venezia ma anche per noi, cristiani, uomini e donne di Chioggia che con Venezia condividiamo il mare e la laguna, la bellezza e la fragilità, l’arte e il lavoro.

Provo a sintetizzare attorno ad alcune frasi pronunciate dal Papa quanto vorremmo restasse dopo questa visita e si scolpisse nei nostri cuori.

Ore 8.15: «Oggi ricomincio». La prima parola il Papa l’ha consegnata alle detenute del carcere femminile della Giudecca e anche a tutti noi che nella vita abbiamo sbagliato. Chi non ha fatto errori? Non siamo in carcere, ma tutti portiamo delle ferite, tutti spesso diciamo: «Se tornassi indietro non farei quella cosa». Papa Francesco ha usato un’immagine molto bella: la speranza è come un ancora, ancorata nel futuro, e noi abbiamo tra le mani la corda. Possiamo sempre ripartire, ricominciare, rialzarci. La prima parola che risuona all’inizio di ogni nostra giornata potrebbe essere proprio questa: oggi ricomincio, oggi posso ripartire.

Ore 9: «Con i miei occhi». È il titolo del padiglione curato dalla Santa Sede alla biennale di Venezia. E papa Francesco ha parlato della bellezza, dello sguardo che Dio ha per noi e di quello che noi possiamo custodire verso tutto quello che ci circonda. «L’arte ci educa a uno sguardo non possessivo, non oggettivante, ma nemmeno indifferente, superficiale; ci educa a uno sguardo contemplativo». Il mondo ha bisogno di artisti e, aggiungo io, ha bisogno che tutti diventiamo artisti cioè persone dallo sguardo contemplativo che riconoscono il bello che c’è attorno a noi, nelle persone e nelle giornate che ci vengono donate. Chi inizia la giornata con una passeggiata sulla diga di Sottomarina o vede il tramonto sulla laguna può capire queste parole e custodire quello sguardo, lo sguardo di un artista, per tutta la giornata.

Ore 10: «Alzati e vai». L’incontro con i giovani che rappresentavano tutte le diocesi del nord-est è stato un momento spumeggiante, un dialogo vivace e intenso tra il Pastore e il suo giovane gregge partito quando ancora era buio per non mancare all’appuntamento. «Alzati perché sei fatto per il cielo … Guardati come Dio ti guarda e ti vede in tutta la bellezza di figlio amato … Alzati e prega Dio che ti faccia innamorare della vita e della tua vita … E se fai fatica lascia che sia il Signore a rialzarti … Alzati e aiuta chi incontri a rialzarsi … Alzati e resta in piedi … Alzati e vai per essere un dono per chi incontrerai … Alzati e vai per dare vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile; allora sarai rivoluzionario». I giovani hanno risposto con entusiasmo a questo invito del Pastore che è rivolto a tutti noi perché ogni giornata sia gioiosa, vissuta da innamorati, anzi da rivoluzionari.

Ore 11: «Rimanete in me e io in voi». A coronare la mattinata il commento al vangelo dove Gesù parla di sé come della vite e di noi come dei tralci (Gv 15,1-8). Il forte invito a rimanere uniti alla vite per portare frutto è risuonato in piazza San Marco come consegna alle nostre Chiese e a ciascuno di noi. Dio ha cura di noi e a noi è chiesto di custodire questo “dono inestimabile” del legame con la vite. «Il legame con Lui non imprigiona la nostra libertà ma, al contrario, ci apre ad accogliere la linfa dell’amore di Dio, il quale moltiplica la nostra gioia». E ancora: «Rimanere nel Signore significa crescere; sempre rimanere nel Signore significa crescere, crescere nella relazione con Lui, dialogare con Lui, accogliere la sua Parola, seguirlo sulla strada del Regno di Dio». Quella che potrebbe sembrare una riflessione tutta spirituale, il Papa l’ha tradotta a livello sociale pensando a Venezia ma anche alla nostra città: «Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano: i cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine». Credo che queste parole abbiamo toccato il cuore dei tanti sindaci e autorità presenti in piazza perché un applauso le ha evidenziate. Rimanere uniti alla vite sono parole rivolte a noi cristiani prima di tutto, chiamati a diventare costruttori di città a misura d’uomo, belle, fraterne, solidali, sensibili ai problemi e alle sfide di questo nostro tempo.

Ore 12: «Per le tante situazioni di sofferenza nel mondo». La preghiera del Regina Coeli, che ogni domenica è accompagnata dalle parole del Papa dalla finestra di piazza San Pietro, oggi si è levata al Padre da Venezia per giungere là dove le guerre uccidono la bellezza della vita, quella bellezza che Venezia rappresenta per tutto il mondo. Il Papa ha chiamato per nome solo alcune delle sofferenze del mondo: «Penso ad Haiti, dove è in vigore lo stato di emergenza … Penso alla martoriata Ucraina, alla Palestina e a Israele, ai Rohingya e a tante popolazioni che soffrono a causa di guerre e violenze. Il Dio della pace illumini i cuori perché cresca in tutti la volontà di dialogo e di riconciliazione». Un invito forte a sentirsi fratelli e sorelle di tutti quelli che soffrono, a portare nel cuore e nella preghiera la nostra umanità ricca e fragile proprio come Venezia. Nessuna giornata sia rinchiusa nelle nostre piccole cose, ma abbia sempre il respiro del mondo, quel mondo che Dio affida a ciascuno di noi.

Rileggendo queste parole del Papa mi sembra di cogliere quasi un vademecum per le nostre giornate, come se papa Francesco avesse voluto guidarci a viverle da cristiani che abbracciano ogni giorno come un dono da vivere in pienezza, ripartendo sempre di nuovo, con uno sguardo contemplativo, con l’entusiasmo di alzarsi e andare portando nel cuore il mondo intero. Il segreto per poter vivere così ogni giorno è l’invito a rimanere uniti alla vite per poter portare frutto. Noi veneti consociamo le viti; i tralci non sono semplicemente “attaccati” alla vite, a volte sono proprio “avvinghiati” ad essa come se temessero di perdere quel legame che per loro è la condizione per vivere.

Una brezza leggera ha accompagnato tutta questa mattinata; il sole si è fatto vedere, ma senza disturbare troppo per permetterci di gustare le parole del Papa e di sentirle come una carezza per la nostra vita e per il nostro cammino. La fatica di papa Francesco, i suoi spostamenti su una semplice carrozzina e la sua fragilità, hanno reso ancora più vere e significative le sue parole e la sua presenza.
Grazie papa Francesco, temevamo fosse una visita troppo breve, avremmo desiderato trattenerti di più tra noi, ma quanto ci hai donato è un tesoro prezioso che cercheremo di custodire perché cresca la vita e la vita cristiana in queste nostre terre e in particolare nella nostra laguna dove la bellezza ci stupisce e ci aiuta a gustare il dono di ogni giornata.

 

+ Giampaolo Dianin
Vescovo di Chioggia

Giunti ormai oltre la metà dell’anno pastorale, mentre a Roma si è dato avvio ai gruppi di studio sulle tematiche del sinodo, si può dire qualche parola sul percorso intrapreso in diocesi sui diversi ambiti suggeriti dal Vescovo nella sua Lettera. Il Vescovo, infatti, nella Lettera Pastorale dal titolo “Partirono senza indugio”, delinea i tratti necessari per maturare delle comunità cristiane sinodali.

In primo luogo, la comunità è il luogo dove si vive e si trasmette la fede in Gesù Cristo con tutto ciò che ne consegue. È chiaro che la “costruzione” di tali comunità, non parta da zero, ma dalla realtà ecclesiale esistente. L’obiettivo infatti è quello di maturare, tra i fedeli, una consapevolezza crescente della vita cristiana, della chiamata battesimale, in primis. E, se necessario, anche di crescere nella corresponsabilità a riguardo delle comunità, che sempre più si trovano povere di ministri ordinati.
Risulta quindi necessario che crescano forme di servizio e di ministerialità che siano nel segno di una comunione ecclesiale e di una dedizione che prosegue nel tempo. Questo affinché possa avvenire una responsabilità sempre maggiore tra i laici battezzati e si crei la possibilità di équipe pastorali che, assieme ai presbiteri, aiutino le comunità a credere in Gesù e a professare la propria fede.

È la grande sfida che già il Concilio Vaticano II aveva posto parlando di chiesa come popolo di Dio visto
nella sua unità e nella sua diversità.
Ricorre, infatti, in Lumen gentium 10 e 12 il tema della comunione: “Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma «distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui» (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: «A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio» (1 Cor 12,7)”.
Inoltre, va detto che il Concilio stesso aveva ripreso la riflessione del rapporto tra i diversi membri del popolo di Dio. È stato esplicitato con chiarezza quanto sia importante considerare il dono del battesimo come la grande sorgente che abilita tutti alla vita cristiana. Si parla così di partecipazione attiva, di collaborazione, ecc.

Ciò che Papa Francesco chiede oggi alla Chiesa e ciò che il nostro Vescovo Giampaolo domanda a noi è di continuare il cammino intrapreso già più di sessant’anni fa, facendo attenzione al cambiamento d’epoca, che, sotto tutti gli aspetti, stiamo ancora vivendo.
In questi primi mesi di cammino diocesano (ma in continuità con la riflessione iniziata tre anni fa), il tema delle comunità cristiane sinodali ha cominciato a essere oggetto di riflessione qua e là nelle diverse zone pastorali della diocesi, iniziando a considerare altresì il tema della ministerialità. Anche a livello diocesano, poi, nelle strutture di partecipazione ecclesiale, ha trovato modo di essere approfondita la mission della corresponsabilità e della ministerialità, con tutto ciò che ne può conseguire. Lo si è fatto, più in particolare, sia al Consiglio Pastorale diocesano sia al Coordinamento degli Uffici pastorali.

Un altro aspetto significativo, che spesso è stato portato alla luce grazie alle riflessioni richieste dal cammino sinodale, è la necessità di una formazione. Si sta quindi pensando a quale possibile formazione si possa offrire, come diocesi, per aiutare tutti a maturare processi nuovi, che aiutino le nostre comunità cristiane ad attingere e a sostenersi nella fede in Cristo. Un’offerta di formazione che dovrà essere per tutti, perché ciascuno abbia l’opportunità di approfondire il dono della vita cristiana, ma anche una formazione per quanti svolgeranno compiti precisi nelle comunità assumendosi delle specifiche responsabilità.

Anche per quanto riguarda l’iniziazione cristiana, l’Ufficio Catechistico ha avviato una pista di lavoro (inviando dei questionari a sacerdoti e catechisti), chiedendo una valutazione del percorso fatto fino a oggi. Dopodiché, seguirà una più ampia riflessione diocesana, che dovrà portare a delle precisazioni di percorso, ma soprattutto dovrà aiutare i cammini nel periodo della mistagogia. Un lavoro che si intreccia con il cammino del terzo anno sinodale, in cui ci è chiesto un discernimento sulla vita delle nostre comunità.

Ci fa bene pensare che la Chiesa non sia un monolite statico attorno a cui tutto deve ruotare, ma sia invece formata di donne e uomini che camminano guidati dallo Spirito, che sempre suscita profeti, pastori, carismi, cristiani che imparano ad amare e testimoniare Gesù e il suo vangelo sopra ogni cosa, e che tralasciano ciò che può essere di ingombro a questo amore vivo, fosse anche qualche vecchia struttura o qualche usanza ormai obsoleta.
Insomma, al centro di tutto questo lavoro e di quanto si maturerà si trova il popolo di Dio, che desidera vivere la fede e camminare assieme in una esperienza nuova di comunione e di fraternità evangelica, attento ai bisogni di ciascuno e rigenerato continuamente dall’eucaristia. Un percorso in cui non c’è uno schema da seguire già predisposto ma la provocazione di una lettura costante e profonda del divenire della realtà ecclesiale e del suo potenziale realizzarsi nei diversi contesti.
La vita di fede, che è dono dello Spirito Santo, si accresce così in ogni possibile incontro, iniziativa, itinerario proposto e riguarda tutti. Sta al pastore (al Vescovo) riconoscerne i segni e delinearne le strade percorribili.

 

Don Giovanni Vianello
Delegato per il Coordinamento della Pastorale

L’esperienza dei Gruppi Vocazionali “Il Mandorlo” e “Il Sicomoro” propone ogni anno un campo vocazionale, che mette a tema l’amicizia con Gesù e con i compagni di cammino.

Quest’anno il campo si svolgerà ad Assisi e sarà nei giorni che vanno dall’8 al 13 agosto.
Assisi, in particolare, ci darà l’opportunità di percorrere le vicende e la vita di san Francesco e di santa Chiara e ci donerà anche di incontrare il beato Carlo Acutis, giovane testimone dei nostri giorni.
Il tema, poi, seguirà quello suggerito dall’Ufficio Nazionale Vocazioni: “Creare Casa” (ChV, 217).

I santi sono uomini e donne che hanno lasciato spazio a Cristo nella loro casa interiore. Sono testimoni di accoglienza di fratelli e sorelle poveri e indifesi. Sono stati – e sono tutt’ora – esempio di vita cristiana compiuta perché donata; una vita nuova ricevuta in dono e offerta al mondo.
Con le ragazze e i ragazzi che parteciperanno desideriamo quindi metterci sulle strade di testimoni attraverso racconti di vita, giochi e momenti di fraternità, perché, affascinati e attratti dal vangelo di Gesù, loro possano tradurre nel proprio cuore, nei propri affetti, nella propria intelligenza quanto sia bello creare in sé una casa che sappia accogliere Cristo e che si lasci amare da lui. La vita allora può svolgersi nel dono di sé in maniera libera e gratuita.

Per quanti vogliano chiedere informazioni e iscriversi al campo vocazionale, è possibile fare riferimento al numero 349 291 4796 o, in alternativa, all’indirizzo di posta elettronica ‘cdvocazionichioggia@gmail.com‘.

 

Don Giovanni Vianello,
Direttore dell’Ufficio Diocesano Vocazioni

L’équipe della Pastorale Vocazionale diocesana propone, quest’anno presso l’Unità Pastorale Navicella-San Michele Arcangelo di Chioggia, una settimana (da domenica 14 a domenica 21 aprile) di sensibilizzazione e preghiera sul tema vocazionale.

La parola ‘vocazione’ potrebbe apparirci ormai desueta o riguardante solo alcune categorie (di solito, sacerdoti e consacrate/i), sebbene in realtà riguardi tutti i battezzati ed esprima il disegno di Dio per ciascuno di noi. Vocazione è infatti donare la propria vita accogliendo e intrecciando con gioia due sogni: quello di Dio e quello nostro, che mai si contraddicono.

La settimana vocazionale, che avrà come titolo “Creare Casa” (ChV, 217), vuole essere un momento di condivisione di testimonianze vocazionali, che aiutino a guardare la vita nel suo svolgersi cristianamente. Il poliedro di vocazioni – dono di Dio – è una ricchezza per la chiesa e per il mondo ed è bello poterle narrare sempre per il bene di tutti e per illuminare la strada dei più giovani.
La stessa Veglia Diocesana di Preghiera per tutte le Vocazioni, che si svolgerà giovedì 18 aprile, alle ore 21:00, presso la chiesa della Beata Vergine Maria della Navicella, metterà in luce il dono di una particolare storia vocazionale. Alla preghiera siamo tutti invitati, in particolare i giovani.

“Creare Casa”, infine, è anche il tema della 61^ Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno si celebrerà domenica 21 aprile. Tutti i sacerdoti e gli animatori liturgici sono chiamati a dare particolare rilievo a questa Giornata invitando i fedeli alla preghiera.
Il tema suggerisce un invito per le nostre comunità, ossia cercare di creare spazi possibili di accoglienza perché ciascuno possa far crescere e coltivare la propria vocazione.

 

Don Giovanni Vianello
Direttore dell’Ufficio Diocesano Vocazioni

Per il giorno sabato 2 marzo 2024, presso il Seminario Vescovile Diocesano, a partire dalle ore 20:00, è stata programmata una cena come occasione di presentazione ufficiale di Esperienza Missionela proposta missionaria diocesana che prenderà avvio – con un percorso formativo di quattro incontri – nel corso del mese di febbraio 2024.

Si tratta di un’occasione che si propone, da un lato, di condividere il significato profondo dell’esperienza missionaria e, dall’altro, una raccolta fondi finalizzata all’autofinanziamento della proposta di missione presso la parrocchia di Bwoga-Chioggia, in Burundi, nel corso della terza e della quarta settimana del mese di luglio 2024.

La Diocesi di Chioggia propone un percorso formativo in vista di un’eventuale esperienza missionaria in Africa, per vivere la quotidianità, l’annuncio e l’impegno dei missionari, confrontandosi con altre culture e condividendone la fede.

L’esperienza si svolgerà durante la terza e la quarta settimana del mese di luglio 2024 presso la parrocchia di Bwoga-Chioggia, in Burundi, dove operano le suore della Congregazione delle Serve di Maria Addolorata, e i giovani partecipanti avranno la possibilità di offrire un tempo di animazione, realizzare qualche lavoro nella scuola in costruzione – sostenuta anche con le offerte del tempo di Avvento della Caritas diocesana – e fare esperienza delle tradizioni locali.

Si tratta, quindi, di una proposta che arricchirà per primi i partecipanti ma che potrà anche diventare successivamente testimonianza e annuncio nelle comunità diocesane.