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Di ritorno dall’esperienza missionaria in Burundi, ho fatto posto in valigia anche per una stoffa ricamata a mano da alcune donne del posto che ci è stata regalata da Suor M. Celeste, superiora della comunità “Mater Misericordiae”, e dalle sue consorelle. Oltre alla bellezza dei ricami, mi ha colpito molto la scritta che occupa la posizione centrale nel rettangolo di stoffa: “Maison shalom”, casa di pace. E tra me e me mi sono subito detto che proprio questa poteva essere una efficace espressione di sintesi dell’esperienza che abbiamo vissuto a Bwoga Chioggia e, in particolare, dell’accoglienza che ci hanno riservato non solo le suore ma, più in generale, chiunque abbiamo incontrato durante i giorni della nostra permanenza in quella che mi sento di poter definire la terra benedetta del Burundi.
Ho respirato ovunque un profondo senso di pace e gioia vera proprio perché mi sono sempre sentito accolto, ospitato e, a dirla tutta, anche coccolato. Certo in Africa – e in Burundi, in particolare – non manca la povertà di tanti tipi, in primis quella materiale, ma di sicuro non si può dire che il popolo burundese non sia “ricco” nel vivere le relazioni appieno, anche con il diverso, anche con chi viene da lontano, anche con i muzungu – gli uomini bianchi.
La stessa “ricchezza” portatrice di pace l’ho trovata anche nei più piccoli, con i loro occhi pieni di gioia e di tanta voglia di vivere la vita bella che tutti loro meritano. Proprio con i bambini ho vissuto l’esperienza che mi ha provocato di più: partendo per il Burundi, infatti, ho dovuto lasciare l’animazione estiva della mia parrocchia di servizio ma, per quella che potrei definire una Dio-incidenza (una coincidenza voluta da Dio), mi sono ritrovato a vivere la stessa esperienza nel cortile della missione sulla collina di Bwoga. Qui, però, ho da subito notato come quei piccoli dagli occhi che ti incantano sapessero godere appieno anche del poco che gli veniva offerto quando noi, nelle nostre realtà, non sappiamo più cosa inventarci per attrarre e coinvolgere bambini, ragazzi e giovani. Allora mi chiedo: sono loro i poveri o siamo noi che stiamo vivendo in una povertà che ci toglie la pace e della quale fatichiamo ad accorgerci?
Lascio aperta per voi lettori, ma anche e soprattutto per me, questa provocazione che mi sono
portato a casa dalla terra del Burundi, quella terra benedetta che è casa di pace.

 

Daniele Mozzato
Seminarista

Dal 18 luglio al 3 agosto 2024, un gruppo della Diocesi di Chioggia ha vissuto un’esperienza missionaria presso la comunità “Mater Misericordiae” delle Serve di Maria Addolorata di Chioggia a Bwoga, in Burundi.
Il gruppo, formato da due sacerdoti, una religiosa, due seminaristi, due mamme e cinque giovani, si è preparato a questo momento con alcuni momenti formativi proposti nei mesi precedenti alla partenza e, nella celebrazione dell’11 giugno, solennità dei Santi Patroni, ha ricevuto la Croce e l’invio missionario da parte dal Vescovo di Chioggia, Mons. Giampaolo Dianin.

Al ritorno da questa esperienza, vogliamo condividere un breve racconto di quanto vissuto e alcune domande che sono sorte in noi e che rimangono come un pungolo per farci progredire nella riflessione del nostro essere cristiani.

Eccoci al viaggio
Oltre ventiquattro ore tra voli e attese negli aeroporti. Il vantaggio di essere in gruppo è stato sicuramente quello di poter condividere la fatica, le incertezze e i desideri che portavamo nel cuore.
Arrivati a Bujumbura (centro commerciale del Burundi), ad attenderci, in aeroporto, suor Celeste e suor Annonciate, che sono venute a prenderci per accompagnarci alla missione di Bwoga-Chioggia.
Saliti sui pulmini, abbiamo raggiunto la casa della comunità nella tarda serata. Lì le altre suore (burundesi e messicane) e le giovani in formazione ci hanno accolto con danze burundesi e con un rito di accoglienza messicano.
Già ci siamo sentiti a casa…

Il primo sacerdote della parrocchia
Subito il giorno seguente al nostro arrivo abbiamo avuto la possibilità di partecipare alla prima Messa del primo sacerdote della collina di Bwoga-Chioggia: don Arcade Niymungere.
La celebrazione è stata un momento molto intenso, della durata di circa tre ore. Una grande festa, con canti polifonici e danze locali, tanto da non accorgerci del passare del tempo. Erano presenti tutti i fedeli della collina, in chiesa abbiamo stimato forse più di mille persone, per lo più giovani, ragazzi e famiglie.

Durante la nostra permanenza
Le Messe al mattino presto: 6:15 in comunità dalle suore oppure 6:30 alla domenica, in parrocchia (quella che più prevedeva la presenza di bambini e famiglie). Celebrazioni vissute sempre con molta partecipazione e intensità di preghiera, canti, gesti… gioia. Il convento delle suore è adiacente alla chiesa, e subito dopo la Messa domenicale, i bambini e un bel gruppo di adulti si ritrova per la formazione. Nella parrocchia la presenza delle suore, oltre che a offrire un dispensario (possiamo considerarlo come una nostra clinica o un pronto soccorso, dove trovare medico di base, dentista, ecc.), si fa formazione per bambini e ragazzi ed è presente una scuola dell’infanzia.
Durante la nostra permanenza, ci siamo inseriti nei tempi di preghiera e di lavoro delle suore e cercavamo di servire là dove ci veniva chiesto.
Abbiamo avuto l’occasione anche di passeggiare lungo la collina e nei villaggi della parrocchia dove l’accoglienza della popolazione è stata commovente.

Altro lavoro
Nei lunedì, mercoledì e venerdì durante la mattina, i bambini della collina venivano accolti nella casa per l’esperienza del centro estivo. Anche noi eravamo lì a interagire con loro, come riuscivamo, ma i piccoli parlano al cuore e quindi tutto diventa semplice.
Nei pomeriggi, invece, e negli altri giorni, il gruppo si dedicava ai lavori utili alla missione, come semina del prato, sistemazione del legno, montaggio sedie e altri lavori di rifinitura nella nuova scuola. Anche l’arrivo del container dall’Italia ci ha impegnati per un intero pomeriggio fino a notte inoltrata per lo scarico e la raccolta del materiale: possiamo testimoniare che tutto arriva a destinazione e che richiede un grande lavoro.

Abbiamo avuto, poi, alcuni momenti molto importanti come la visita al villaggio dei Pigmei; questa è un’etnia minoritaria del Burundi e, per quanto ci hanno raccontato, la più emarginata. Il capo villaggio ha detto che era dal 1994 che non ricevevano una visita.
La loro accoglienza è stata gioiosa ma soprattutto grata. Le donne dell’etnia fabbricano vasi di argilla che non vendono ma che, quasi esclusivamente, barattano con il cibo. Questa notizia è una delle cose che mi hanno fatto molto riflettere: lavorare per il pane quotidiano e non per un accumulo senza senso. Siamo partiti per la visita con la consapevolezza che non avremmo dovuto fare foto, ma mentre ci facevano vedere il loro lavoro, il capo villaggio ci ha chiesto di scattarne affinché altri possano sapere di loro e del loro lavoro. L’estraneo, l’emarginato, ha bisogno dello sguardo di qualcuno che possa fargli capire il valore che ha. Forse vale anche per noi…

Visita agli ammalati
Assieme alle suore abbiamo fatto visita ad alcuni malati per portare loro un po’ di cibo e anche la comunione eucaristica.

I giovani
Un altro momento importante vissuto durante la nostra permanenza è stato l’incontro con i giovani della parrocchia, durante il quale i giovani di Bwoga e quelli della Diocesi di Chioggia si sono raccontati della propria cultura attraverso canti, balli e scenette. Anche l’incontro con i giovani del forum diocesano ci ha colpito molto perché la loro accoglienza è stata quasi imbarazzante, con calore ed entusiasmo, coinvolgendoci in danze e canti.

In questa esperienza missionaria mancavano sicuramente alcune comodità alle quali si è abituati, ad esempio la connessione stabile alla rete Internet, l’uso continuo di acqua e corrente elettrica, ma alla fine nulla ci è mancato perché abbiamo scoperto la ricchezza dai rapporti personali, dagli incontri veri. Anche i momenti in cui ci siamo dati del tempo per l’ascolto tra di noi e con le sorelle che ci hanno ospitato, sono stati intensi e pieni di storie personali e ricchi di fede.

Un vivo grazie a tutti coloro che ci hanno accompagnato, sia con l’aiuto economico sia con la preghiera, perché abbiamo sempre sentito la vicinanza dei tanti che hanno pregato per noi.

 

Suor M. Ada Nelly Velazquez Escobar
Direttrice del Centro Missionario Diocesano

Immagine Articolo 'Esperienza Missione': Accoglienza...

Giunti ormai oltre la metà dell’anno pastorale, mentre a Roma si è dato avvio ai gruppi di studio sulle tematiche del sinodo, si può dire qualche parola sul percorso intrapreso in diocesi sui diversi ambiti suggeriti dal Vescovo nella sua Lettera. Il Vescovo, infatti, nella Lettera Pastorale dal titolo “Partirono senza indugio”, delinea i tratti necessari per maturare delle comunità cristiane sinodali.

In primo luogo, la comunità è il luogo dove si vive e si trasmette la fede in Gesù Cristo con tutto ciò che ne consegue. È chiaro che la “costruzione” di tali comunità, non parta da zero, ma dalla realtà ecclesiale esistente. L’obiettivo infatti è quello di maturare, tra i fedeli, una consapevolezza crescente della vita cristiana, della chiamata battesimale, in primis. E, se necessario, anche di crescere nella corresponsabilità a riguardo delle comunità, che sempre più si trovano povere di ministri ordinati.
Risulta quindi necessario che crescano forme di servizio e di ministerialità che siano nel segno di una comunione ecclesiale e di una dedizione che prosegue nel tempo. Questo affinché possa avvenire una responsabilità sempre maggiore tra i laici battezzati e si crei la possibilità di équipe pastorali che, assieme ai presbiteri, aiutino le comunità a credere in Gesù e a professare la propria fede.

È la grande sfida che già il Concilio Vaticano II aveva posto parlando di chiesa come popolo di Dio visto
nella sua unità e nella sua diversità.
Ricorre, infatti, in Lumen gentium 10 e 12 il tema della comunione: “Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma «distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui» (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: «A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio» (1 Cor 12,7)”.
Inoltre, va detto che il Concilio stesso aveva ripreso la riflessione del rapporto tra i diversi membri del popolo di Dio. È stato esplicitato con chiarezza quanto sia importante considerare il dono del battesimo come la grande sorgente che abilita tutti alla vita cristiana. Si parla così di partecipazione attiva, di collaborazione, ecc.

Ciò che Papa Francesco chiede oggi alla Chiesa e ciò che il nostro Vescovo Giampaolo domanda a noi è di continuare il cammino intrapreso già più di sessant’anni fa, facendo attenzione al cambiamento d’epoca, che, sotto tutti gli aspetti, stiamo ancora vivendo.
In questi primi mesi di cammino diocesano (ma in continuità con la riflessione iniziata tre anni fa), il tema delle comunità cristiane sinodali ha cominciato a essere oggetto di riflessione qua e là nelle diverse zone pastorali della diocesi, iniziando a considerare altresì il tema della ministerialità. Anche a livello diocesano, poi, nelle strutture di partecipazione ecclesiale, ha trovato modo di essere approfondita la mission della corresponsabilità e della ministerialità, con tutto ciò che ne può conseguire. Lo si è fatto, più in particolare, sia al Consiglio Pastorale diocesano sia al Coordinamento degli Uffici pastorali.

Un altro aspetto significativo, che spesso è stato portato alla luce grazie alle riflessioni richieste dal cammino sinodale, è la necessità di una formazione. Si sta quindi pensando a quale possibile formazione si possa offrire, come diocesi, per aiutare tutti a maturare processi nuovi, che aiutino le nostre comunità cristiane ad attingere e a sostenersi nella fede in Cristo. Un’offerta di formazione che dovrà essere per tutti, perché ciascuno abbia l’opportunità di approfondire il dono della vita cristiana, ma anche una formazione per quanti svolgeranno compiti precisi nelle comunità assumendosi delle specifiche responsabilità.

Anche per quanto riguarda l’iniziazione cristiana, l’Ufficio Catechistico ha avviato una pista di lavoro (inviando dei questionari a sacerdoti e catechisti), chiedendo una valutazione del percorso fatto fino a oggi. Dopodiché, seguirà una più ampia riflessione diocesana, che dovrà portare a delle precisazioni di percorso, ma soprattutto dovrà aiutare i cammini nel periodo della mistagogia. Un lavoro che si intreccia con il cammino del terzo anno sinodale, in cui ci è chiesto un discernimento sulla vita delle nostre comunità.

Ci fa bene pensare che la Chiesa non sia un monolite statico attorno a cui tutto deve ruotare, ma sia invece formata di donne e uomini che camminano guidati dallo Spirito, che sempre suscita profeti, pastori, carismi, cristiani che imparano ad amare e testimoniare Gesù e il suo vangelo sopra ogni cosa, e che tralasciano ciò che può essere di ingombro a questo amore vivo, fosse anche qualche vecchia struttura o qualche usanza ormai obsoleta.
Insomma, al centro di tutto questo lavoro e di quanto si maturerà si trova il popolo di Dio, che desidera vivere la fede e camminare assieme in una esperienza nuova di comunione e di fraternità evangelica, attento ai bisogni di ciascuno e rigenerato continuamente dall’eucaristia. Un percorso in cui non c’è uno schema da seguire già predisposto ma la provocazione di una lettura costante e profonda del divenire della realtà ecclesiale e del suo potenziale realizzarsi nei diversi contesti.
La vita di fede, che è dono dello Spirito Santo, si accresce così in ogni possibile incontro, iniziativa, itinerario proposto e riguarda tutti. Sta al pastore (al Vescovo) riconoscerne i segni e delinearne le strade percorribili.

 

Don Giovanni Vianello
Delegato per il Coordinamento della Pastorale

L’équipe della Pastorale Vocazionale diocesana propone, quest’anno presso l’Unità Pastorale Navicella-San Michele Arcangelo di Chioggia, una settimana (da domenica 14 a domenica 21 aprile) di sensibilizzazione e preghiera sul tema vocazionale.

La parola ‘vocazione’ potrebbe apparirci ormai desueta o riguardante solo alcune categorie (di solito, sacerdoti e consacrate/i), sebbene in realtà riguardi tutti i battezzati ed esprima il disegno di Dio per ciascuno di noi. Vocazione è infatti donare la propria vita accogliendo e intrecciando con gioia due sogni: quello di Dio e quello nostro, che mai si contraddicono.

La settimana vocazionale, che avrà come titolo “Creare Casa” (ChV, 217), vuole essere un momento di condivisione di testimonianze vocazionali, che aiutino a guardare la vita nel suo svolgersi cristianamente. Il poliedro di vocazioni – dono di Dio – è una ricchezza per la chiesa e per il mondo ed è bello poterle narrare sempre per il bene di tutti e per illuminare la strada dei più giovani.
La stessa Veglia Diocesana di Preghiera per tutte le Vocazioni, che si svolgerà giovedì 18 aprile, alle ore 21:00, presso la chiesa della Beata Vergine Maria della Navicella, metterà in luce il dono di una particolare storia vocazionale. Alla preghiera siamo tutti invitati, in particolare i giovani.

“Creare Casa”, infine, è anche il tema della 61^ Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno si celebrerà domenica 21 aprile. Tutti i sacerdoti e gli animatori liturgici sono chiamati a dare particolare rilievo a questa Giornata invitando i fedeli alla preghiera.
Il tema suggerisce un invito per le nostre comunità, ossia cercare di creare spazi possibili di accoglienza perché ciascuno possa far crescere e coltivare la propria vocazione.

 

Don Giovanni Vianello
Direttore dell’Ufficio Diocesano Vocazioni

“Creare Casa”

Dal 3 al 5 gennaio 2024 si è svolto a Roma il consueto Convegno Nazionale Vocazioni. Questo appuntamento è diventato una tappa fissa all’inizio dell’anno per il Centro Diocesano Vocazioni, che, sfruttando la modalità online per seguirlo, si è ritrovato in quei tre giorni presso Casa San Luigi delle Serve di Maria Addolorata, a Sottomarina. Il tema del Convegno, organizzato dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale … Continua a leggere “Creare Casa” »

In ognuno di noi c’è sempre quella voglia nascosta di lasciarsi sorprendere dalla vita, da quel Cammino che è stato sognato su misura per noi dal Signore che, a volte, ci scombussola i piani.
Così è successo a me quando ho deciso di accettare la proposta di partecipare al Campo Vocazionale (dal 28 agosto al 2 settembre), un’esperienza che non avevo previsto ma che mi ha arricchito di tanti incontri inaspettati, di testimonianze che hanno aperto in me domande, curiosità e momenti di riflessione.
Abbiamo vissuto con le ragazze e i ragazzi giornate molto intense in cui abbiamo incontrato e ascoltato testimoni della fede nella poliedricità delle vocazioni. Mi ha colpito quanto emergeva in tutte le storie, come ogni strada fosse sempre illuminata dal rapporto di amicizia con Gesù.

Nell’incontro con le suore Carmelitane Scalze di Bologna, nel quale abbiamo conosciuto suor Veronica e suor Teresa Benedetta, le monache di clausura hanno interagito con noi restando dietro la ‘grata’ e comunicandoci tutta la loro gioia di dedicarsi a Gesù e di custodire la loro vita in quella casa. Questa ‘grata’ quindi è per loro segno di custodia della preghiera e non di distacco dal mondo, come rispecchiava la loro viva testimonianza.
Mentre parlavano della loro vita e della loro vocazione, ho notato quanto fossero piene di gioia, sempre con un volto lieto e questo mi ha fatto riflettere. Per suor Veronica, ad esempio, la vocazione non è stata chiara fin da subito, ma frutto di anni di lotta interiore prima di pronunciare il suo “Sì”. L’altra cosa sorprendente che ho scoperto è che la vita in clausura non è distante e limitante come si potrebbe immaginare bensì un luogo dove nella preghiera si possono raggiungere tutte le persone nel mondo, come ci ha testimoniato suor Teresa Benedetta. La vera libertà non sta nel poter fare tutto ciò che si vuole, ma nel liberare il cuore da ciò che lo blocca per potersi donare a un amore più grande.

Un altro momento per me significativo è stata la giornata trascorsa all’Opera Padre Marella, sacerdote originario della diocesi di Chioggia, insegnante presso il nostro seminario vescovile e poi emigrato a Bologna. L’Opera si occupa di accogliere le persone più fragili, offrendo supporto nella povertà e costruendo una prospettiva di rinascita, lavorando sulle potenzialità di ciascuno, favorendo l’indipendenza. Forse ho prestato più attenzione alla figura di Padre Marella e ai collaboratori dell’Opera perché era il centro tematico del campo vocazionale e, nonostante provenisse dalle nostre zone, non ne avevo mai sentito parlare. In particolare, di lui mi ha colpito la semplicità con cui viveva, la sua carità incondizionata verso i ragazzi, i giovani e i bisognosi, la sua obbedienza alla Chiesa e la sua umiltà, anche nell’accettare la sospensione a divinis.
L’esempio di Padre Marella e l’impronta che lui stesso ha lasciato a chi oggi lavora all’Opera, seguendo lo spirito “Caritas Christi urget nos”, mi fa pensare a una frase che spesso è stata ripetuta durante il campo e che può essere di grande ispirazione: “Gesù è vivo e continua ad attirare le persone”.

Ci sarebbero ancora tante cose da raccontare di questo campo: tante emozioni e tante sensazioni, che possiamo riassumere nel versetto “Cristo ci ha liberati per la libertà” (Gal 5,1), frase che è stata il filo conduttore del campo. All’inizio questa frase mi sembrava quasi incomprensibile ma dopo questa esperienza, ha acquisito un nuovo significato nella mia vita. Forse la chiave sta proprio nella libertà di lasciarsi amare da Gesù.

 

Anna Gobbo
Giovane del Gruppo Vocazionale “Il Cedro”

Una luce ha avvolto il Campo Vocazionale che si è tenuto a Bologna nell’ultima settimana di agosto con ventitré tra ragazze e ragazzi dei Gruppi Vocazionali “Il Mandorlo” e “Il Sicomoro” e una decina di giovani.

“Verrà a visitarci un sole che sorge dall’alto” è la frase che troviamo nel Benedictus e che abbiamo recitato al mattino con le lodi.
Il Sole che sorge ha cambiato la vita di suor Veronica, la prima testimone che abbiamo incontrato. Suor Veronica è una suora carmelitana scalza originaria di Sottomarina, che da dodici anni vive in monastero a Bologna. Ci ha raccontato la sua storia, soprattutto del momento del suo innamoramento di Cristo. Una decisione interiore presa proprio passeggiando sulla spiaggia di Sottomarina una mattina presto, al sorgere del sole. Un momento decisivo in cui ha sentito svanire ogni sua umana incertezza, sentendosi interiormente libera di seguire la sua vocazione al Carmelo.

Libertà: una parola che ha attraversato tutta la settimana, essendo il tema del campo: “Cristo ci ha liberati per la libertà” (Gal 5,1).
Una frase tanto cara al Beato Olinto Marella, figura che abbiamo incontrato il mercoledì, giornata centrale del campo. Visitando il museo multimediale, abbiamo conosciuto la sua storia di sacerdote attento ai più bisognosi, in particolare bambini orfani, prima a Pellestrina e poi a Bologna, dove ha fondato la Città dei Ragazzi: un’opera di accoglienza viva ancora oggi. Qui ci ha raggiunto il nostro Vescovo Giampaolo, che ha condiviso con noi la conoscenza del Beato. Inoltre, ha presieduto l’Eucaristia e incontrato personalmente le ragazze e i ragazzi in un dialogo in cui ognuno di loro ha potuto esprimere liberamente le proprie domande.

Il Vescovo ci ha invitato a essere liberi e a toglierci le maschere che troppo spesso tendiamo a indossare per apparire ciò che piace ‘agli altri’.
Maschere che sicuramente hanno tolto i giovani che abbiamo incontrato nella casa “La via di Emmaus”, dove questi hanno iniziato un cammino di discernimento vivendo in comunità e frequentando i loro luoghi di lavoro. A “La via di Emmaus” siamo stati accolti da don Ruggero, iniziatore di questo progetto iniziato alcuni anni fa partendo dalla richiesta di due ragazze.
Tra i giovani che ci hanno accolto c’è Ilaria. Lei aveva una vita “normale” con tutto ciò che le serviva: un posto fisso come insegnante, un fidanzato, eppure sentiva una certa infelicità. Così ha deciso di abbandonare le sue certezze, per mettersi in ascolto e in ricerca di qualcosa che la potesse rendere davvero felice. Il cammino in Casa Emmaus e il lavoro su sé stessa le hanno dato il coraggio di ripartire daccapo e oggi ha un nuovo lavoro e un nuovo fidanzato, ma soprattutto è felice, come abbiamo intuito dalle sue parole e dai suoi occhi pieni di luce. Siamo rimasti colpiti dal suo coraggio di come ha saputo lasciare tutto, forse anche con un sentimento di paura, ma con la certezza che il Signore cammina al suo fianco.

“Gesù vi guarda, vi conosce… e vi dice: non temete!” ripeteva papa Francesco nell’omelia della Messa conclusiva della Giornata Mondiale della Gioventù, e da questa esperienza lo abbiamo constatato. Ce lo hanno ricordato anche Anna (del Gruppo Vocazionale “Il Cedro”) e suor Angelica (delle Serve di Maria Addolorata di Chioggia) che durante l’adorazione eucaristica del venerdì mattina, hanno portato la loro testimonianza dell’esperienza vissuta a Lisbona, riprendendo alcune parole che le hanno accompagnate.

Anche altre esperienze hanno scandito il nostro programma: per esempio, la visita a Monte Sole, teatro dei rastrellamenti nazifascisti che hanno eliminato centinaia di civili. Tra questi emerge la testimonianza dei loro preti decisi a non lasciare la loro gente fino a condividerne la morte.
Qui, una camminata immersi nel silenzio di questi luoghi ci ha fatto raggiungere i due monasteri presenti sul Monte: uno di monaci e uno di monache dossettiani. Li abbiamo incontrati assieme a una coppia di sposi appartenenti alla loro comunità.

In questa settimana abbiamo anche vissuto la visita alla basilica di San Petronio con la spiegazione della piazza antistante; l’incontro con Suor Maria delle Paoline, originaria di Pellestrina; la visita alla chiesa del Corpus Domini, dove è custodito il corpo incorrotto di Santa Caterina de’ Vigri.
Le ragazze e i ragazzi hanno vissuto anche un tempo penitenziale.

Questa settimana insieme possiamo dire che è stata come una sosta: non solo abbiamo vissuto giornate intense di amicizia, ma abbiamo incontrato anche tante realtà che ci hanno spinto a porre delle domande su di noi e sulla nostra vita, come il sole che sorge e viene a illuminare il nostro volto improvvisamente facendoci brillare gli occhi di una luce nuova.

 

Federico Cerruti
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Ho accompagnato i nostri giovani a Lisbona con tanti sogni nel cuore, primo fra tutti, quello di poter iniziare con loro una pagina nuova della pastorale giovanile nella nostra diocesi.
Sono convinto che la pastorale giovanile non si fa “per” i giovani, ma è necessario pensarla e realizzarla “con” loro. L’opportunità di condividere una settimana insieme, di creare relazioni, fraternità, complicità, mi è sembrata un’occasione da non perdere. E così sono andato.
Sono stati giorni intensi: ci siamo avvicinati a Lisbona accompagnati dalla Parola e da alcune catechesi sulle domande di Gesù: «Che cercate?»; «Cosa vuoi che io faccia per te?». Poi abbiamo condiviso i giorni centrali a Lisbona col Papa e nel ritorno un’altra catechesi che ci ha accompagnato a elaborare quanto vissuto. Gesù chiede ai due discepoli di Emmaus in cammino: «Che sono questi discorsi che fate tra voi lungo il viaggio?».

Le risonanze condivise nel viaggio per tornare a casa sono state un bel regalo che hanno sottolineato la positività dell’esperienza nonostante la grande fatica e stanchezza che non è mancata. Condivido solo alcuni dei pensieri emersi dai nostri giovani che possono aiutare a capire quanto vissuto.

«In un mondo dove conta solo l’apparenza, Dio è riuscito a riunire un milione e mezzo di giovani»; «Porto a casa tanta speranza. Nella vita si cammina e non bisogna avere paura di cadere»; «Rialzarsi sempre accettando di non essere perfetti. L’ho visto nel volto dei giovani, nel sorriso e nella commozione dei volontari»; «Vivo un momento di confusione e ho sentito le parole di Gesù: “Cosa vuoi che io faccia per te?” Mi provoca tanto l’amore gratuito di Gesù. La Parola mi aiuta a mettere ordine nella vita e oggi mi dice: non mollare mai»; «La Chiesa è madre, c’è spazio per tutti, vicini e lontani, devoti e semplici. C’è un cammino per tutti»; «Le folle unite da Dio. E la parola “alzati” rivolta anche a me. La gioia di tutti ha fatto passare in secondo piano la stanchezza»; «Essere radici di gioia e far crescere piante di gioia. E il coraggio di testimoniare»; «La domanda “che cercate?” mi ha aiutato a mettere a fuoco fin da subito perché ero qui. Ci sono state tante condivisioni tra noi. Non si arriva mai nella vita. Pensavo di arrivare a mettere tutto in ordine e invece siamo sempre in cammino»; «Mi ha dato tanta forza e coraggio, ora vorrei provare a donare»; «All’inizio avevo tanti timori, alla fine sono venuta. È stato faticoso ma mi sono messa alla prova. Porto con me quell’alzati e cammina»; «Incredibile come un milione di giovani che non si sono mai visti prima, in un luogo nuovo, mi abbiano fatto sentire a casa. Come se quella folla di gente mi avesse abbracciata rendendomi parte di una vera e propria famiglia».

Sono solo alcune battute prese dalle tante risonanze condivise, ma credo esprimano bene il clima, la partecipazione, lo stupore, la gioia per quanto vissuto. È stato importante sentirsi accompagnati da tante persone che da casa ci hanno seguito e da tanti che ci hanno ricordato nella preghiera.

Una sfida non scontata è stata quella di mettere insieme gruppi diversi di giovani: quelli legati all’oratorio dei salesiani, quelli del Delta e di Cavarzere, l’Azione cattolica e gli scout. Confidiamo che questa salutare “contaminazione” possa continuare anche in diocesi, dove, pur rispettando le multiple appartenenze, siamo chiamati a camminare insieme almeno per alcune esperienze. Solo così un gruppo significativo di giovani potrà essere contagioso per altri giovani che potrebbero trovare una casa dove abitare, crescere e anche riscoprire la gioia del vangelo.

+ Monsignor Giampaolo Dianin
Vescovo di Chioggia


Testo tratto dall’edizione numero 32 del settimanale d’informazione diocesano ‘Nuova Scintilla’

 

Il “viaggio dell’eroe” è un modello di struttura narrativa particolarmente diffuso. Un modello di avventura in tre atti, che racconta un viaggio straordinario dell’eroe-protagonista. Ma più che di un viaggio esteriore, disseminato di ostacoli, pericoli, creature misteriose, avversari, si tratta del racconto di un viaggio interiore, che scandisce le tappe di un cambiamento, di una radicale evoluzione dell’eroe fino a portarlo a una dimensione e a una consapevolezza del tutto nuove.
E questo modello sembra perfetto per raccontare anche l’esperienza del pellegrinaggio diocesano che si è svolto tra martedì 1 e mercoledì 9 agosto per partecipare, a Lisbona, alla trentasettesima Giornata Mondiale della Gioventù. Un viaggio-pellegrinaggio – anche questo – in tre atti, che sicuramente ha costretto i partecipanti a mettersi alla prova soprattutto dal punto di vista fisico, ma che si è rivelato, prima di ogni altra cosa, un cammino di evoluzione della propria fede, un percorso di scoperta (o di ri-scoperta) della propria relazione con Dio.

Il primo atto si è svolto a Tarragona. Certo, non si tratta, per definizione, del “mondo ordinario” dei protagonisti. Tuttavia, era quasi inevitabile che i partecipanti tenessero stretto a sé quel proprio “mondo”, il proprio gruppo di riferimento, le persone conosciute, le proprie sicurezze, i propri amici, fino a quel deciso “richiamo all’avventura” dato dal vescovo Giampaolo.
Che cosa cercate? Cosa vuoi che io faccia per te?
Da un lato, quindi, il racconto del Vangelo di Giovanni sull’incontro di Gesù con i primi discepoli. L’invito ad andare, a vedere, a fermarsi, riflettendo su che cosa si cerchi oggi per la propria vita. Dall’altro, il racconto meraviglioso dell’incontro tra Gesù e Bartimeo. E una domanda che sorprende, una domanda che ribalta il pensiero comune, non indugiando su ciò che ciascuno può o deve fare per Dio ma sull’assunzione di una dimensione di responsabilità per la propria vita: “L’acquisizione della vista, per Bartimeo, equivale a un cambiamento radicale di prospettiva, dovendo smettere di essere del tutto dipendente da altri“.

Il secondo atto corrisponde alla parte fondamentale della storia. Un rincorrersi di prove, di alleati, di sorprese, di “nemici”, il tutto orientato verso la “prova centrale”, quella prova che, una volta superata, conduce l’eroe a una vera trasformazione.
E Lisbona non può che essere stata tutto questo. Un meraviglioso poliedro di colori, di volti, di voci, di silenzi. Quel “mondo speciale” che, fin dall’arrivo alla vicina São João dos Montes, ha continuato a sussurrare una parola: “Alzati”. Il ritrovo di una Chiesa viva, esultante, straordinariamente varia, ma tutta orientata all’incontro. All’incontro con papa Francesco, all’incontro con il Signore. Un incontro che, in occasione dei momenti centrali della Via Crucis, della veglia di preghiera e della celebrazione eucaristica, ha saputo mettere duramente alla prova. Ma che ha saputo anche rassicurare, consolare, commuovere, aiutare, sostenere, sorreggere.
Camminare” – ha invitato papa Francesco – “e, se si cade, rialzarsi; camminare con una meta; allenarsi tutti i giorni nella vita. Nella vita, nulla è gratis, tutto si paga. Solo una cosa è gratis: l’amore di Gesù! Quindi, con questo gratis che abbiamo – l’amore di Gesù – e con la voglia di camminare, camminiamo nella speranza, guardiamo alle nostre radici e andiamo avanti, senza paura. Non abbiate paura.

Infine, il terzo atto. Il ritorno. Se pur non proprio un ritorno a casa, ma una nuova tappa: Barcellona. Un tempo che ha trovato il suo punto più alto nella condivisione di ciò che si è vissuto, nel rendere disponibile agli altri una piccola parte di quella trasformazione che ha segnato l’intero viaggio. Un viaggio, però, che continua – che deve continuare! – quasi come l’imperfetta perfezione di una basilica che sembra non poter mai trovare un compimento.
Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi…
Le esperienze” – dopotutto – “per poter diventare significative, devono essere rielaborate“. E non si può non confidare davvero che questo viaggio-pellegrinaggio venga vissuto e rivissuto ancora, diffondendo con coraggio il messaggio che “occorre correre il rischio di amare, [perché] Gesù ci accompagna sempre”.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni

Anche per l’estate 2023, viene proposto un campo vocazionale per ragazze e ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni: “Un meraviglioso poliedro. Sulle orme di Padre Marella.

La proposta si terrà da lunedì 28 agosto a sabato 2 settembre 2023 nei pressi di Bologna, dove si ripercorreranno i luoghi in cui ha vissuto il Beato Olinto Marellaal quale, in occasione della sua beatificazione, è stato intitolato il Seminario Vescovile Diocesano – e altri santi e si incontreranno le testimonianze di persone che vivono la fede.

Sarà anche occasione per trascorrere una settimana di fraternità e per costruire o approfondire delle relazioni significative di amicizia.


Per iscrizioni, richieste di informazioni e di chiarimenti: Don Giovanni +39 349 291 4796