“Cristo ci ha liberati per la libertà”

Breve riflessione sull'esperienza del Campo Vocazionale 2023

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Parlare di libertà è difficile, è “rischioso”, a maggior ragione quando i propri interlocutori sono giovani o addirittura giovanissimi.
È difficile perché, spesso, quando si pensa alla libertà, il solo tentativo di prendere in considerazione un limite, un confine, sembra del tutto inappropriato. Può forse la libertà non essere assolutamente “libera”? Può la libertà non corrispondere alla possibilità – almeno potenziale – di cavalcare le più varie manifestazioni della propria volontà?
Ma parlare di libertà è anche “rischioso”. Da un lato, si corre il rischio, di fatto, di non parlarne veramente, rimanendo a una dimensione tanto abbozzata e superficiale da non creare nel proprio interlocutore alcun interesse, alcun desiderio. Dall’altro, emerge il rischio di descrivere una libertà illusoria, una libertà che non potrà mai essere raggiunta davvero.

E allora – ci si chiede – è possibile parlare di libertà? O, in fin dei conti, è possibile essere liberi?

Interessante come, nel corso del Campo Vocazionale proposto dal Centro Diocesano Vocazioni, un primissimo approccio a queste domande sia avvenuto all’interno del “Carmelo” di Bologna, un monastero. E ancor più interessante come la libertà sia stata subito legata a un’esperienza di coraggio e di amore. Quell’Amore originario e gratuito ricevuto dal Padre e che non può trovare una via diversa dalla sua condivisione, da una sua massima diffusione.
“Non una vita di clausura ma di custodia”.
E davvero non ci può convincere del contrario dopo aver ascoltato il racconto di suor Veronica, originaria di Sottomarina, e di suor Teresa Benedetta, priora del convento. Il racconto di una ricerca instancabile, di uno svelamento travagliato dei propri desideri più profondi, di un personale percorso di ricerca della felicità (e della propria libertà). Il racconto di un’alba di fine primavera diventata, per suor Veronica (prima Valeria), una meravigliosa epifania: “Sono tua”.

Ritorniamo, quindi, alla domanda iniziale: è possibile esseri liberi (magari vivendo per la quasi totalità del proprio tempo all’interno di un monastero)? E se sì, come?

La libertà, in questo senso, sembra non esaurirsi in una dimensione fisica, spaziale. La libertà richiede la capacità di spogliarsi e di rivestirsi. Da un lato, la capacità di spogliarsi delle proprie maschere, delle proprie certezze apparenti, di quel “tutto” che si limita a imbiancare la superficie di una vita “sepolta”. Dall’altro, la capacità di rivestirsi di ciò che più fa risuonare il proprio cuore, di benedire il tempo della prova, di rivestirsi di Cristo.
Si tratta di una libertà di cui è stato (e ancora è) testimone il beato Giuseppe Olinto Marella, sulle cui orme è stato fortemente voluto l’intero campo vocazionale e che ne incarna quasi una definizione. Dopotutto, Padre Marella è stato un uomo libero, un sacerdote libero, un insegnante libero. Ma non di una libertà approssimativa o illusoria. È stato libero di quella stessa libertà che Cristo, amando fino al sacrificio, con Amore ha desiderato per ciascuno di noi.

“Cristo ci ha liberati per la libertà”.

 

Daniele Boscarato
Membro del Centro Diocesano Vocazioni